PREFAZIONE DI ADOLFO CERETTI
Per quanto dall’Europa ci appaia disumana e inefficace, espressione di una cultura puritana e punitiva, negli Stati Uniti la pena di morte non è un barbaro retaggio del passato.
In questo studio approfondito e sorprendente, David Garland dimostra che, dove è rimasta in vigore, la pena capitale ha saputo trasformarsi seguendo i grandi cambiamenti culturali e politici della società americana.
Nel tempo, si è passati dal pubblico rituale del linciaggio alla procedura asettica e discreta dell’iniezione letale, e dalle torture sul patibolo a una rigida codificazione giuridica, mentre le urla della folla inferocita nelle piazze hanno lasciato spazio agli appelli delle associazioni per i diritti delle vittime.
Le corti federali hanno dunque razionalizzato e «civilizzato» la pena di morte, che però continua ad accompagnarsi a discriminazioni, ritardi e incertezze nelle esecuzioni, oltre che a interminabili dibattiti e agguerrite campagne popolari.
E la questione della pena capitale, soggetta com’è alle leggi dei singoli stati, si presta alle manipolazioni della politica locale, fornendo ai populisti un’arma impropria per la ricerca del consenso.
Eppure questo «istituto peculiare», la cui efficacia deterrente e retributiva sembra ormai smentita dai fatti, assolve funzioni per nulla trascurabili nella vita pubblica statunitense. Offre ai media racconti drammatici e agghiaccianti, e per i cittadini costituisce, di volta in volta, un veicolo per l’indignazione morale, un intrattenimento solleticante o un’opportunità per esprimere forme aggressive altrimenti proibite, sfatando così il tabù della morte nel discorso pubblico.
La pena di morte in America ripercorre le continuità e le discontinuità storiche di un istituto che rappresenta un unicum nei sistemi penali occidentali, mettendone in luce le implicazioni di tipo culturale, emotivo e simbolico:
la radicatissima tradizione americana di federalismo e democrazia locale – ma in molti stati anche di violenza e razzismo –, la mitizzazione della volontà popolare, il fascino paradossale delle esecuzioni, che esorcizzano la repulsione e l’ansia della morte illudendo i cittadini di poterla controllare.
Ne nasce una teoria «scientifica» della pena capitale statunitense che, senza cedere alla tentazione del giudizio etico e della presa di posizione polemica, sfida sia le convinzioni dei sostenitori, sia quelle degli abolizionisti.
David Garland
David Garland si è laureato in legge e in filosofia all'Università di Edimburgo. Attualmente insegna Sociologia alla New York University School of Law. I suoi corsi vertono su tematiche attinenti le prospettive sociali e storiche della pena di morte, la teoria e la prassi dell'incarcerazione e il contributo di Michael Foucault alla sociologia della punizione.
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